Forse non tutti sono a conoscenza di questa strategia adottata ormai da quasi tutte le aziende produttrici di beni e servizi, nonostante ci riguarda così da vicino quando acquistiamo un prodotto da introdurre nelle nostre case o di utilizzo nella vita quotidiana.
Per questo ho deciso di affrontare questo spinoso argomento soprattutto da un punto di vista tecnologico, perché è fondamentale comprendere come questa strategia, sta modificando a livello profondo le nostre abitudini ed a lungo andare sta compromettendo la vita su questo pianeta.
Per capire appieno la questione però, come sempre è meglio partire dall’inizio.
La lampada ad incandescenza

Tutto è partito da lei, o meglio, la lampadina ad incandescenza è stata la prima vittima dell’obsolescenza programmata. Nel 1924, i rappresentanti delle principali aziende di lampadine si riunirono a Ginevra dove firmarono il cartello Phoebus un accordo in cui standardizzarono le caratteristiche che dovevano avere lampade ad incandescenza (forma, attacco, voltaggio…) e ne limitarono volutamente la durata a 1.000 ore di funzionamento. Perché hanno limitato la durata?
Dopo l’acquisto e la successiva installazione, le lampadine avevano una durata molto elevata e le aziende produttrici avevano dei bassi margini di guadagno. Una delle testimonianze più autentiche della longevità di una lampadina ad incandescenza è quella della caserma dei Vigili del Fuoco di Livermore (California), ancora funzionante dal 1901 ad oggi (una webcam trasmette in diretta la luce della lampadina nel web).
Va precisato però che la lampadina menzionata è realizzata con filamento di carbonio, naturalmente più resistente delle attuali lampadine vintage a filamento a LED o con filamento in tungsteno (quest’ultime non più in commercio dal 2012).
Cosa si intende per Obsolescenza Programmata?

Si parla di obsolescenza programmata o comunque pianificata, nel momento in cui si tenta di inserire un arco temporale “limitato” per quanto concerne il ciclo di vita da parte di un elettrodomestico, un oggetto legato al mondo della tecnologia, ma soprattutto i cellulari: gli strumenti più utilizzati nel mondo di oggi anche dalle diverse generazioni.
Sostanzialmente, se gli smartphone o i diversi elettrodomestici che abbiamo acquistato funzionassero perfettamente per 10, 15, 20 anni, molte aziende di conseguenza si troverebbero costrette a chiudere o licenziare personale, a causa della mancanza di lavoro per la scarsa quantità di apparecchiature vendute.
In effetti, esiste un reale metodo introdotto dalle aziende per non permettere (ad esempio agli smartphone) di avere una reale lunga durata.
Tra gli elementi da analizzare troviamo l’utilizzo, in fase di produzione, di materiali di bassa qualità, di aggiornamenti software che inducono le apparecchiature al non funzionamento oppure semplicemente portare l’acquirente a sborsare più per la riparazione del prodotto rispetto a quanto speso nell’acquisto dello stesso.
Obsolescenza programmata, multe e sanzioni
Si fa molta fatica a credere che possa essere realmente possibile una strategia del genere, soprattutto se vediamo coinvolte aziende del calibro di Apple o Samsung anche perché sono le aziende più note e quindi ovviamente più esposte.
Nel 2018, infatti, l’Antitrust ha punito le medesime aziende proprio a causa dell’obsolescenza programmata. Il motivo è caratterizzato dall’aver indotto i propri utenti ad installare nuove versioni dei sistemi operativi (iOS ed Android) per i vecchi dispositivi e a causa di tale aggiornamento, hanno riscontrato prestazioni di utilizzo peggiori.
Come abbiamo visto più volte nei consigli presenti in questo sito, aggiornare ad una Major release non è mai una buona idea, sopratutto se il nostro dispositivo non è trai i più recenti, e quindi con l’aggiornamento si potrebbero presentare fenomeni di consumo maggiore della batteria.
L’obsolescenza programmata è causa di inquinamento
Un altro elemento da non sottovalutare per quanto riguarda l’utilizzo e il ricambio degli smartphone più che degli elettrodomestici, è legato al fattore dell’inquinamento.

Come possiamo vedere nell’estratto di questa infografica, l’effetto serra sta portando all’innalzamento della temperatura del pianeta terra, con conseguenze ben note ormai e sotto gli occhi di tutti.
Le emissioni di gas serra, non sono causate soltanto dai trasporti (14%) o dall’agricoltura (24%), ma anche dalle produzioni industriali che raggiungono il 21% di emissioni (fonte). Quindi il processo produttivo di un elettrodomestico e quindi di uno smartphone, ricopre un ruolo fondamentale, che si unisce allo smaltimento sempre più corposo e dovuto al cambio continuo del proprio cellulare, che chiude il cerchio proprio con l’obsolescenza programmata.
1 Smartphone = 13 Tonnellate di Acqua
Mind your step Report
Secondo uno studio di Trucost: Mind Your Step Report, per produrre uno smartphone sono necessarie 13 tonnellate di acqua e 18m² di terreno. Questo evidenzia proprio come un oggetto così piccolo e alla portata di tutti, ha un impatto globale enorme per la salvaguardia del nostro pianeta.
Qualcosa sta cambiando?

Secondo quanto viene riportato da alcune ricerche svolte da Ting, emerge un dato che può certamente essere di conforto soprattutto per evitare un maggiore tasso di inquinamento: il 47% degli utenti, contrariamente agli anni passati, non cambiano più lo smartphone ogni due anni ma per un periodo che spazia dai 3 ai 5 anni.
Qualcosa sta cambiando quindi, ma ciò di cui dobbiamo essere consapevoli è che le azioni che ognuno di noi compie quotidianamente impattano a livello globale sul nostro pianeta.